ALIMENTAZIONE: tra caos e tradizione
La globalizzazione dei consumi e dei mercati, la diffusione dei moderni sistemi produttivi, la trasformazione e commercializzazione degli alimenti oltre agli innegabili vantaggi che, insieme ai cambiamenti degli stili di vita, stanno inesorabilmente modificando, favoriscono la scomparsa delle tradizioni alimentari in quei paesi la cui storia e cultura del cibo appare sempre più debole e frammentaria.Il rapporto tra la perdita di tradizioni della tavola ed il caos alimentare, presenta evoluzioni e manifestazioni marcatamente differenti nelle diversità delle popolazioni, e ciò riguarda anche l’Italia, in cui tali consuetudini sono sempre state forti e radicate sin dalla notte dei tempi. Questa confusione alimentare, che si è venuta a creare a seguito della perdita di quelle tradizioni che hanno dato certezze e quindi sicurezza, immancabilmente si accompagna al sorgere e diffondersi di impalpabili incertezze, timori e paure, per giungere fino a manifestazioni di vere e proprie psicosi collettive. Oggigiorno, sempre maggiormente e con decisione, non solo il consumatore ma è la società stessa che chiede al cibo quella sicurezza che permetta di distinguere il vero dal falso, il pregiudizio dal certo, evitando così quel pericoloso disordine alimentare di cui ognuno, sovente, se non di solito inconsciamente sente, e lo percepisce come una presenza incombente. Per tradizione alimentare s’intende l’insieme della conoscenza dei cibi e delle regole che ne guidano l’uso. Dallo Zingarelli si legge che per “TRADIZIONE” s’intende: ” … voce dotta dal latino traditione e indica il tramandare notizie, memorie, consuetudini da una generazione all’altra attraverso l’esempio o informazioni, testimonianze e ammaestramenti orali o scritti”. Da ciò se ne deduce che la tradizione raccoglie, mantiene e perpetua rivelazioni e cambiamenti riusciti e riconosciuti ottimali anche per lunghissimi periodi, addirittura per millenni: il valore e l’importanza di tali tradizioni che ne derivano, è affidata non solo nella custodia, ma nella trasmissione di tali conoscenze alimentari da parte dei popoli, in quanto lungamente e positivamente accertate e condivise fino ad allora. Le innovazioni tecnologiche che hanno drasticamente modificato i sistemi produttivi e la trasformazione con la conseguente distribuzione degli alimenti, hanno inesorabilmente innescato la perdita delle tradizioni, in quanto private della diretta, vissuta e fattiva conoscenza delle popolazioni a favore di minare ulteriormente la cultura del cibo favorendo così una sempre maggiore ignoranza a tale riguardo. Questa ignoranza alimentare, facilitata dalla globalizzazione dei mercati e dall’immancabile aumento del reddito, ha favorito lo sviluppo, inizialmente appena accennato, mimetizzato e via via sempre più dilagante, di un edonismo del cibo veramente preoccupante. L’edonismo alimentare, favorendo diffuse e svariate mode, avvantaggia l’arretratezza della cultura del cibo, per cui l’immancabile disordine generato, ha accelerato l’espansione e la gravità delle conseguenze. L’allontanamento, o meglio, la scomparsa delle tradizioni, ha fatto sì che la marcata e manifesta ignoranza alimentare non è stata colmata e ne tantomeno sostituita da quelle regole sitologiche terapeutiche e preventive proposte dalle scienze dietetiche. A tale riguardo e sotto vari aspetti, quelle regole dietetiche medicali aventi lo scopo di guarire l’individuo ammalato, non hanno fatto altro che aggravare la confusione alimentare che immancabilmente ne è sorta, diffondendo timori, paure e pericolose fobie: il tanto combattuto colesterolo ne è un tipico ed eclatante esempio. Le collaudate consuetudini alimentari che sono venute a mancare, hanno effettivamente favorito il prosperare di mode, spesso effimere se non dannose, ed il divulgarsi di paure per privazioni più che certezze, come invece sono prospettate dalle diete di origine medicale: per molti individui, la cucina e la tavola sono diventate, al tempo stesso, agognate e paventate. Oggigiorno, il cibo è croce e delizia, in quanto è sempre maggiormente diffuso il dilemma che se è vero che “senza mangiare si muore” è pur vero anche il contrario, cioè “mangiando si rischia di morire!” In un passato, nemmeno tanto remoto, il problema di cibarsi per “vivere” era un’innegabile priorità, in quanto non ve ne era per tutti, anzi, per pochi, mentre oggi è ampiamente diffuso lo smarrimento creato dal fatto che il cibo è sempre troppo abbondante e spesse volte non gradevole e nemmeno invitante, ma è la moda del momento o la formula miracolosa dettata da qualche guru dei mass-media e come tale si segue ed accetta, poiché altrimenti si è esclusi dal giro “trendy”! Non più esorcizzata dal sapere che il cibo, tramite la tradizione, è stato depositario di valori e alti significati, ecco sorgere l’immancabile paura. II cibo deve ritornare ad essere delizia ed elemento fondamentale di benessere in quanto nutrimento del corpo e della psiche, per cui l’alimentazione deve soddisfare si il palato e lo stomaco, ma anche il cervello ed il pensiero. Non deve verificarsi, sia nel momento di mettersi a tavola che dopo aver mangiato, quell’ansia che degenera tutto quanto in negativo, ma favorire un evidente e sereno rapporto con l’ambiente trasmettendoci così la tranquillità del sapere intrinseco al cibo collezionato in un lungo passato: UN CIBO NUTRIMENTO MA ANCHE UN CIBO CULTURA! Pier Lugi Nanni La rubrica di Pier Luigi www.latagliatellaccompagnata.it |